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Quante volte ti hanno chiamato per proporti un contenuto paid su un portale o una testata altrui? Ti conviene scartare sempre queste offerte? No, vediamo insieme perché.

Quando si parla di branded content molti operatori del settore – anche figure senior – possono facilmente sentirsi confusi sul significato di questa attività all’interno della macro categoria rappresentata dal content marketing.

Iniziamo dunque a dare una definizione di branded content grazie al contributo di Chris Rooke, SVP of strategy and operations di Nativo: “branded content vuol dire investire in contenuti convincenti, sia per informare che per intrattenere, con lo scopo di creare un’esperienza immersiva per i consumatori. Quest’attività – continua Rooke – permette ai consumatori di allinearsi allo stile di vita e al sistema di credenze della marca. Influenza dunque la percezione del consumatore, l’affinità, la consideration ecc. Si tratta di contenuti che aggiungono naturalmente valore e sono utili per i lettori”.

Ma cosa non è branded content?Ad esempio il product placement. Quest’attività non c’entra nulla poiché non prevede un controllo del contesto ne un coinvolgimento dei valori del brand all’interno del contenuto. Il vecchio publiredazionale (advertorial) – tanto osannato e amato dagli uffici stampa tradizionali – non è un branded content.

E quali sono le ragioni per cui oggi ha senso investire in progetti di branded content con un editore o un publisher?

Fai creare contenuti a chi sa farlo

Se hai una piccola realtà aziendale o una struttura di marketing tradizionale probabilmente non avrai la possibilità di avere al tuo interno un team dedicato alla produzione dei contenuti. In questo caso la soluzione può essere rappresenta dai publisher: esperti nella creazione di contenuti, i principali player dell’editoria digitale mondiale hanno già composto team dedicati – definiti “content studio” – specializzati nello sviluppo e nella pubblicazione di contenuti in collaborazione con i brand. Ad esempio The Huffington Post con Partner Studio e il New York Times con T Brand Studio.

Utilizza una voce autorevole per raccontare i tuoi valori

Una volta definiti i valori del tuo brand e identificato un target di riferimento occorrerà trovare i giusti publisher che possano veicolare e amplificare tale sistema di credenze.

La possibilità di raccontare il proprio universo valoriale, attraverso la voce di una testata che ha già una grande reputazione su determinati argomenti, può essere la strategia di contenuti  più adatta per il tuo brand.

Amplifica le campagne su canali social non proprietari

Se hai una presenza marginale sui social o se le tue pagine sono piene di fan ma non hanno un buon engagement potrebbe essere interessante esplorare canali non proprietari attraverso un’attività di branded content. Ricorda che in questo caso non parliamo del seeding tradizionalmente inteso ma di un’attività che rispetti le audience e i follower delle pagine dei publisher. Rilevanza e qualità sono le caratteristiche principali di questi contenuti.

Ecco per esempio ciò che abbiamo realizzato prima di Natale sulla nostra testata Roba da Donne in collaborazione con l’app di dating online Once: una campagna che ha previsto una rubrica di articoli dal nome “Ci metto un cuore” pubblicata sul magazine e un video ironico diffuso sui nostri social dal titolo “Ce l’hai il fidanzatino?”, realizzato per rispondere agli stereotipi su questo mondo.

A pochi giorni dalla pubblicazione il video aveva già raggiunto più di 1,3 milioni di persone e generato oltre 500.000 video views.

 Prendi posizione, il mercato te lo chiede

Che si tratti di questioni legate alla parità tra i sessi, a problemi ambientali o questioni prettamente politiche è oggi fondamentale che i brand prendano posizioni chiare sui temi che più li riguardano da vicino.

Nel 2017 Airbnb si è schierata contro il travel ban di Donald Trump – che negava l’accesso negli USA ai cittadini provenienti da sette paesi a maggioranza musulmana – attraverso una campagna video che ha fatto il giro del mondo. In questo caso l’azienda non poteva non esprimere la propria opinione su una politica chiaramente in opposizione con la propria unique selling proposition: “sentirsi a casa in ogni parte del mondo”.

Il copy del video recitava: “We believe no matter who you are, where you’re from, who you love or who you worship, we all belong. The world is more beautiful the more you accept.”

 

Un altro esempio molto interessante è stato realizzato dal The New York Times con Netflix per i lancio di una stagione di Orange is the new Black. Attraverso un’inchiesta speciale, l’editore ha raccontato la condizione delle donne all’interno delle carceri americane. Un contenuto interessante e assolutamente in linea con gli obiettivi dell’inserzionista.

Il ROI è migliore

Molte agenzie e professionisti del settore ritengono che sia difficile misurare il ROI di un’attività di branded content. Uno studio di Forbes e IPG Media Lab ci fornisce però interessanti rivelazioni su come quest’attività possa migliorare l’awareness, la recall e la percezione del brand. Tra gli insights principali scopriamo ad esempio che il branded content è 2 volte più memorabile della display e 3 volte più efficace di quest’ultimo sulla brand recall.

 

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